di Rosa Provenzano, autrice del libro “Oltre le crepe del cuore”.
Bianca tornava a casa sempre allo stesso orario, sempre con lo stesso tram. La quotidianità per lei aveva una sua bellezza: il viaggio, la meta, la gente, ognuno con la propria vita e con le proprie scelte. Anche in tram ognuno faceva la propria scelta: C’era chi decideva di ascoltare la musica, chi di leggere un libro, chi di continuare a lavorare o di studiare. Poi c’era chi, come lei, sceglieva di guardare fuori dal finestrino; le strade, i palazzi, le persone che scorrevano davanti ai suoi occhi le infondevano serenità. Tutto ciò che vedeva scompariva per non ripresentarsi più nel medesimo modo. La stessa cosa accadeva con i suoi pensieri, andavano e venivano, poi scomparivano e non erano più gli stessi; come le strade e i palazzi, non le appartenevano, scivolavano lontani da lei. Quando varcò la porta del suo appartamento si sentì scuotere nel profondo da una sensazione di angoscia, come se dietro quella porta chiusa avesse lasciato la gioia e i colori della vita e si fosse addentrata nel grigiore malinconico dell’autunno. In quel momento si sentì a terra, come una foglia caduta dall’albero. Era da tanto che non le succedeva di sentirsi così persa, ma quello che era accaduto il giorno prima aveva riesumato il passato e con esso la sofferenza che aveva vissuto. A passi lenti si avvicinò alla finestra; stava iniziando a piovere. Le era sempre piaciuto il rumore della pioggia, quel ticchettio tipico e cadenzato, sui vetri delle finestre, dove le gocce continuano a scendere, a inseguirsi, a incrociarsi in un gioco costante e sommesso. C’erano tanti ricordi legati alla pioggia, alcuni piacevoli, altri amari, sensazioni e pensieri nascosti in ogni singola lacrima del cielo. Ricordi che giungevano all’improvviso come le onde del mare grigio in tempesta. Ricordi che si affacciavano, scomparivano, tornavano e si intrecciavano, come le gocce che bagnavano i vetri. Si passò una mano tra i capelli e sospirò profondamente. Anche quel giorno di tre anni prima pioveva… “Sbam” Ricordava ancora il rumore della porta che si richiudeva dietro Filippo che andava via all’improvviso, buttandosi alle spalle ciò che c’era stato fra di loro fino a pochi momenti prima. Filippo… si conoscevano dai tempi dell’università. Lui era così affascinante e intrigante con i suoi meravigliosi occhi verdi, nei quali si era persa fin dalla prima volta che lo aveva visto. Ricordava come si sentiva impacciata in sua compagnia; poi lui aveva fatto il primo passo e da quel giorno la vita le era apparsa meravigliosa. Per tanti anni aveva pensato di essere la persona più fortunata del mondo perché accanto a lei c’era Filippo, il suo mondo; un mondo dorato, una vita perfetta arricchita ancora di più dalla nascita di Greta. Mentre guardava la pioggia bagnare i vetri i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si girò verso la stanza e con lo sguardo appannato lo rivide lì, come l’ultima volta, seduto sul divano con il cappotto nuovo sulle ginocchia e con una leggera espressione di preoccupazione in viso. Quel giorno era rientrata trafelata dal lavoro; appena aperta la porta aveva visto prima lui e poi il trolley. “Stava partendo? Per dove? E perché?” Aveva provato diverse sensazioni che si erano rincorse una dopo l’altra; stupore, terrore e impotenza. Si era fermata di colpo sulla soglia, come se una forza sconosciuta e misteriosa la trattenesse. Non aveva osato andare oltre; il suo cuore aveva iniziato a battere all’impazzata e i suoi pensieri si erano offuscati portando nella nebbia anche la sua voce. In quel momento aveva pensato di scappare, nascondersi, chiudere quella porta e riaprirla nuovamente, perché forse si era trattato solo di un sogno… o di un incubo. “Sbam” Sì, ricordava il rumore della porta che si richiudeva, mentre lui trascinava con sé il trolley che aveva preparato per giorni di nascosto. “Sbam” Un rumore assordante, che era riecheggiato per tutta la stanza, che era rimbombato nella sua mente, che si era abbattuto sulla sua anima e aveva distrutto la sua vita. Ricordava le parole di Filippo come se le sentisse ancora risuonare tra quelle pareti; parole pronunciate a basse voce e urlate, velenose e malvagie, cattive e mortali che erano penetrate nella sua carne lacerandola. “Tra noi è finita da tempo… siamo così diversi e così distanti, ormai. La verità è che non provo più nessuna attrazione per te, le stesse cose che prima mi piacevano, la tua voce, il tuo sguardo, il tuo modo di toccarmi, ora mi danno fastidio… Forse non è solo colpa tua, forse anche io sono cambiato. Ho bisogno di qualcosa di diverso, di più intenso e coinvolgente… di sentimenti profondi che con te non provo più… Forse avrei dovuto farlo prima, non l’ho fatto per Greta, ma adesso ha 18 anni, è abbastanza grande per cavarsela da sola e per capire… Spiegale tu quello che è successo tra di noi… per me sarebbe troppo difficile… Dille che le voglio bene …” “Sbam” E poi il silenzio, e poi il buio, e poi il niente. Non ricordava le parole che aveva detto lei, forse perché non ne aveva pronunciate. Ricordava, però, che si era accasciata a terra per un tempo indefinito, senza forze, inerme, aveva avvertito solo il sapore amaro delle proprie lacrime e insieme a esse anche i pezzi della sua vita, i ricordi, le immagini che scivolavano via sul pavimento. Come si era sentita in quei momenti? Cancellata, sola, disperata, vuota, con la sensazione di aver subito una violenza, perché essere abbandonati è una violenza e chi abbandona è crudele e perfido. Cos‘era successo dopo? Mentre il buio invadeva la stanza si era rialzata, era andata in bagno e con addosso i vestiti era entrata nella doccia. Aveva fatto scorrere l’acqua fredda perché voleva liberarsi da quella sensazione di letargo, non tanto per sé stessa, ma per la figlia. Cosa aveva detto a Greta quando era rientrata? Non lo ricordava più, ma non avrebbe mai dimenticato l’espressione di incredulità che aveva letto sul suo volto, diventata poi dolore, e infine disperazione. Era toccato a lei consolarla, dirle che tutto sarebbe tornato come prima, che era solo un momento di confusione, come capita a tanti. Tutto si sarebbe sistemato, come sempre. Greta aveva chiamato suo padre al cellulare più volte quella sera, aveva lasciato dei messaggi. Lui non aveva risposto. L’indomani era andata a cercarlo pure in ufficio, ma non lo aveva trovato; le dissero che aveva chiesto tre settimane di ferie: nessuno, però, sapeva dove fosse. Greta per giorni era rimasta rinchiusa nella sua stanza immersa nel suo dolore, mentre il cellulare dall’altro capo squillava senza risposta. Era toccato a Bianca consolarla e ricacciare indietro lacrime e dolore. Quella risposta arrivò dopo cinque giorni, solo poche parole scritte su WhatsApp. “Scusa se non rispondo, ma per ora non posso, sarebbe troppo difficile per entrambi. Verrà zio Giulio e spiegherà tutto a te e alla mamma. So che capirei.” “Sbam” Sì, ricordava ancora il rumore della porta che si richiudeva, dopo che Giulio rattristato e dispiaciuto era andato via. Ricordava le parole che aveva pronunciato con lo sguardo basso e la voce rotta dall’emozione “Mio fratello è un vigliacco… non ha avuto il coraggio di dirvi la verità… Come non vorrei essere qui in questo momento… C’è un’altra donna nella sua vita, da circa otto mesi, si chiama Naomi, è più giovane di lui di almeno 20 anni… insegna pilates, l’ha conosciuta in palestra… aspetta un figlio. In questo momento sono in vacanza su un’isola di cui non ricordo il nome. Progettava da tempo di andare a vivere con lei, hanno già affittato un appartamento… Mi dispiace, tu e Greta non meritavate tutto questo… ho cercato di farlo ragionare, ma è completamente impazzito… “ Greta, distrutta, era tornata a rinchiudersi nella sua camera; lei non aveva osato seguirla, non avrebbe saputo cosa dirle, doveva prima pensare cosa dire a sé stessa. Perché Filippo si era allontanato da lei? Era colpa sua? In che cosa aveva sbagliato? Perché non si era accorta che qualcosa stava cambiando in lui? Aveva fatto finta di non capire? Aveva forse nascosto la testa sotto la sabbia come gli struzzi per non vedere quello che accadeva intorno a lei? Forse sì, ma non poteva continuare a comportarsi come uno struzzo perché la realtà era ben diversa. Una realtà difficile da accettare: Filippo insieme a un’altra. Filippo che diceva “Ti amo” a un’altra. Filippo che stringeva tra le sue mani con passione, un’altra. Aveva immaginato in quei momenti e per tanto tempo ancora, il loro primo incontro, il loro primo bacio, le notti che avevano trascorso insieme l’una nelle braccia dell’altro, le parole che si erano detti. Tutto era accaduto alle sue spalle. Lui e l’altra. Lui, falso, infedele, insensibile e malvagio e l’altra, perfida strega, spudorata, immorale e sleale. Quanta rabbia e quanto odio aveva sentito esplodere dentro di sé per giorni, mesi e anni pensando a loro. Come si era sentita? Devastata, annullata, spezzata, come Monique, la donna del romanzo di Simone de Beauvoir che aveva letto qualche mese prima dell’abbandono. Forse come presagio. Aveva vagato per la casa, per le strade della città e per i corridoi della scuola dove insegnava, con la testa bassa, umiliata, frantumata, ridotta a niente, senza alcun valore perché è così che Filippo l’aveva trattata, come un vecchio oggetto che non serviva più. Greta aveva deciso di non vedere più suo padre che, preso dalla sua nuova vita, si era dimostrato insensibile verso la sofferenza della figlia. L’unica volta che aveva accettato di vederlo, dopo qualche mese, invece di chiederle come stava, Filippo le aveva parlato per tutto il tempo di Naomi, di quanto fosse bella, divertente e intelligente. Le aveva pure mostrato una sua foto, voleva che si conoscessero, era sicuro che sarebbero andate d’accordo. Greta, a un certo punto, sconcertata e schiacciata dalle sue parole, si era alzata, gli aveva buttato addosso un bicchiere d’acqua ed era scappata via dal bar. “Non è mio padre, non è rimasto niente dell’uomo che era il mio eroe” le aveva detto con le lacrime agli occhi quando era tornata a casa: “Mio padre è morto.” Lei, invece, lo aveva rivisto circa dopo quattro mesi, i primi di giugno. Stava ritornando a casa e lui era davanti al portone del palazzo. Con un sorriso luminoso le era andato incontro e le aveva detto: «Stamattina è nato Giulio, il fratellino di Greta. Ho provato a chiamarla, ma non risponde. È suo dovere conoscerlo… deve farlo per me e per Naomi. Non glielo chiederei se non fosse così importante, sono sicuro che tu saprai convincerla». Lei aveva infilato la chiave nella serratura e poi lo aveva guardato negli occhi. Aveva percepito qualcosa dietro quel sorriso apparentemente felice e mentre apriva il portone gli aveva detto: «Deve farlo per te e per Naomi? E voi che cosa avete fatto per lei?… Ah l’avevo quasi dimenticato… Avete solamente distrutto la sua vita e la mia. Cosa vuoi che sia… Quando sei andato via mi hai detto che Greta è abbastanza grande per cavarsela da sola ed è quello che sta facendo. Anche tu sei abbastanza grande, i problemi con la tua Naomi, puoi risolverteli da solo. Che c’è? Hai paura che finisca com’è finita tra noi?» Non aveva aspettato che lui parlasse, aveva chiuso il portone ed era entrata subito in ascensore. Cosa le aveva dato la forza di andare avanti, di non sprofondare nella disperazione? Greta, sicuramente, lei si era dimostrata forte e decisa. Non poteva cancellare completamente suo padre, ma poteva andare avanti anche senza di lui. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di elemosinare il suo affetto o la sua presenza. Con determinazione si era concentrata sulla sua vita, nello studio, nei suoi sogni e nelle sue ambizioni. Greta era stata la sua forza, il suo sostegno, il suo rifugio e la sua salvezza. La loro vita era andata avanti e giorno dopo giorno, mese dopo mese, si erano abituate a quella sedia vuota quando erano a tavola. Nel tentativo di affievolire l’asprezza dei ricordi si erano liberate di qualsiasi cosa fosse appartenuta a lui, le foto, i pochi vestiti che aveva lasciato, le racchette da tennis e la sua odiosa collezione di portachiavi. Come se bastasse svuotare un cassetto per non soffrire più. La cosa più difficile per lei era stata abituarsi al vuoto nel letto, così pesante da vedere e da percepire; svegliarsi al mattino, girarsi dall’altra parte e vedere il cuscino senza una grinza, questo sì che era stato insopportabile e doloroso. C’erano stati giorni in cui si era sentita distrutta e aveva dato la colpa a sé stessa, giorni in cui aveva provato odio e rabbia, giorni in cui aveva pensato che la sua vita non avesse più senso. Giorni in cui si era svegliata e aveva fatto uno sforzo sovrumano anche per respirare e notti in cui si era sforzata di non dormire, perché i sogni erano duri e spigolosi e le ferivano il cervello come schegge di vetro. Giorni in cui avrebbe voluto farla finita per non sentire più dolore… sarebbe stato un attimo… un salto nel vuoto dal balcone e avrebbe trovato pace e riposo. Non lo aveva fatto, per Greta. Si passò una mano sugli occhi, come a voler cancellare insieme alle lacrime, anche i ricordi. I giorni, i mesi, gli anni… era stato il tempo che passava ad averla aiutata a capire che non poteva vivere per sempre nel rimpianto di ciò che aveva perso, ma che in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto coltivare il proprio futuro, o quello che ne restava. Sapeva che doveva farlo, ma non riusciva a trovare il modo, fino a quando non aveva cominciato a pensare di essere destinata a vivere nel dolore per sempre. E poi, invece, era cambiato tutto quando meno se lo aspettava e in un modo che mai avrebbe immaginato. Un sorriso radioso comparve sulle sue labbra al pensiero di Luca e i suoi occhi brillarono di una luce intensa. Era arrivato all’improvviso nella sua vita, senza avvisare, era successo dieci mesi prima. Per il suo quarantottesimo compleanno aveva voluto fare un regalo a sé stessa: una crociera nel Mediterraneo. Non aveva mai viaggiato da sola, c’era sempre stato Filippo con lei, ma sentiva che era una cosa che doveva fare, anche se era sicura che si sarebbe sentita a disagio. Su quell’enorme palazzo galleggiante, tra i tramonti sul mare e le colazioni in terrazza, aveva conosciuto Luca, un affascinante cinquantenne che l’aveva incantata con la sua gentilezza e con le sue attenzioni. Finita la crociera si era stupita nel rendersi conto che poteva ancora provare emozioni per un altro uomo. Aveva continuato a frequentare Luca, spinta anche da Greta, e ne era nata una storia dolce, calda, palpitante e passionale. Luca, con la sua dolcezza e spontaneità era arrivato dritto al suo cuore e si era imbattuto nei suoi pensieri in silenzio, riempiendo quel vuoto che aveva nell’anima e regalandole, così, la serenità perduta. Insieme a lui aveva scoperto una nuova sé. La nuova sé dopo Filippo e per lei era stato un piacere conoscerla. La nuova sé in grado di curare le proprie ferite. La nuova sé che aveva riscoperto l’amore per sé stessa. La nuova sé pronta persino ad amare di nuovo. La nuova sé senza occhiaie e palpebre gonfie per il troppo pianto, ma che si sentiva ancora bella e desiderabile e padrona delle proprie scelte. La nuova sé che non soffriva più quando si girava dall’altra parte del letto, anche se era vuoto. Luca era riuscito a liberarla dal passato in cui lei stessa si era intrappolata e insieme a lui aveva scoperto che, a volte, la vita è crudele, ma poi dà sempre l’occasione per risollevarsi. Si girò a guardare fuori, mentre la pioggia scorreva sui vetri. Non aveva più rivisto Filippo dal giorno in cui l’aveva aspettata sotto casa per annunciarle la nascita del figlio. Aveva iniziato la sua nuova vita e non aveva più cercato di riallacciare i rapporti nemmeno con Greta… fino a ieri. “Sbam” Sì, non avrebbe mai dimenticato il rumore della porta che si richiudeva dopo che lui, in lacrime e disperato, era andato via. Un rumore forte e deciso che sapeva di riscatto perché stavolta era stata lei a chiudere quella porta, anzi a sbarrarla. Dopo tre anni quell’uomo crudele che l’aveva abbandonata, umiliata e calpestata, aveva bussato di nuovo alla sua porta, anzi l’aveva percossa con forza. La sua bella Naomi, all’improvviso, aveva svuotato il conto in banca ed era volata in Scozia con un giovane e aitante istruttore di fitness, lasciandolo senza un soldo, pieno di debiti e con un bambino piccolo. Dopo tre anni di assenza, come se non fosse successo niente, esigeva di tornare a casa, pretendeva che fossero ancora una famiglia per il bene di Giulio, suo figlio. Sì, non avrebbe mai dimenticato il suo aspetto dimesso, gli occhi arrossati di chi ha pianto per giorni, la barba incolta e la sua voce implorante rotta dai singhiozzi. Non una parola di perdono o di pentimento, però, per il dolore che aveva causato a lei e Greta. Finalmente Bianca aveva capito che dietro quegli occhi verdi che aveva tanto amato si nascondeva un essere egoista, insensibile e bugiardo. Filippo non era cambiato nel tempo, era lei che non si era mai accorta chi fosse realmente, lo aveva idealizzato così tanto da non essere in grado di vedere com’era davvero. L’immagine di perfezione nella sua mente l’aveva indotta a concentrarsi sulle sue luci e a tralasciare le ombre che ora, finalmente, era riuscita a vedere. Sì, non avrebbe mai dimenticato le poche parole che gli aveva detto mentre richiudeva la porta, parole che avevano un dolce sapore di sollievo, di liberazione e di equilibrio. “Sei abbastanza grande per cavartela da solo… Come è giusta la vita…Adesso sai cosa si prova… Sì, adesso lo sai… “Sbam” E poi un sorriso e poi un sospiro e poi la luce. Non provava rabbia, né rancore, né compassione, non provava niente per lui. Mentre guardava la pioggia, ricordò una frase che aveva letto da qualche parte “La vita è un viaggio e ognuno di noi ha una sua strada da seguire. Non tutte le persone che abbiamo conosciuto o amato saranno sempre sulla nostra stessa via.” Filippo era andato dall’altra parte della strada; era il passato che non le apparteneva più. C’era Luca ora che camminava lungo la sua via; il suo presente. Adesso lei aveva una nuova storia da scrivere; una storia in cui avrebbe corso il rischio di ferire e di essere ferita, di amare e di essere amata, ma l’avrebbe vissuta con tutto il suo cuore, ogni giorno, senza mai dimenticarsi di sé stessa. Era questa la lezione che aveva imparato: amare non significa eclissarsi nell’ombra dell’altro, come aveva fatto lei per tanti anni, amare è un atto di coraggio, è donarsi agli altri senza dimenticare di donare anche a noi stessi ciò di cui abbiamo bisogno e meritiamo. Si guardò intorno, c’era un silenzio sospeso nella stanza e avvertì nell’aria tutto il dolore del passato che era stato sparso e che si era riversato tra le cose. Anche se fuori pioveva aprì la finestra come a voler far uscire quell’aria gravosa. Respirò profondamente l’aria fredda e umida, ma vivificante; avvertì quel respiro fresco penetrare in profondità nel petto, rischiarare il cervello e portare vigore al suo corpo. Anche se fuori tutto era avvolto dal grigiore e dalla malinconia dell’autunno, sapeva che la sua anima abbondava di tutti i colori della vita e dell’amore.
