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Le note del Tempo

Central Park era invasa da foglie color ruggine, il vento si muoveva lieve sugli alberi creando una danza univoca. Bianca spostò l’obiettivo verso una coppia di giovani scoiattoli e sorrise pensando a come gli animali fossero tanto simili agli umani. Era la prima volta che veniva a New York, con tanti sacrifici era riuscita a ottenere un incarico come giornalista in una famosa testata americana. Ripose la macchina fotografica all’interno della borsa e continuò a camminare. Si stava facendo buio per cui decise di dirigersi verso l’automobile che aveva parcheggiato di fianco a una caffetteria. Mentre una folata di vento le scompigliò una ciocca di capelli sulla fronte, sentì il suono di un violino. La melodia era struggente, non era mai stata attratta in modo così prepotente da un suono. Si voltò e, avvolto in un cappotto nero, vide un uomo: aveva i capelli scuri e gli occhi verde bottiglia. I loro sguardi si incrociarono. Lo sconosciuto smise di suonare e le sorrise: «Mi scusi, non volevo spaventarla». Bianca sistemò la tracolla che le scendeva sul cappotto chiaro, sorrise all’uomo e gli accennò un saluto, riprendendo a camminare verso la macchina. Il musicista seguì i suoi passi con lo sguardo, quel viso porcellanato con i grandi occhi color ghiaccio gli ricordarono il volto della sua Blanchett. Si guardò intorno e decise che ormai era ora di andare, prese il violino, annusò il legno pregiato e lo ripose nella scatola. Chissà se avrebbe rivisto quel viso d’angelo. L’Appartamento era invaso dall’odore di incenso, Nina, sua amica e collega, era alle prese con i suoi consueti esercizi yoga. Bianca entrò in casa cercando di non fare rumore, ma la giovane donna balzò subito in piedi: «Finalmente! Forza vatti a sedere, ho preparato un ottimo stufato che ti farà perdere la testa». Aveva conosciuto Nina per caso a San Francisco nella palestra accanto al giornale per cui lavorava, da allora il loro rapporto era stato in costante crescita. Entrambe erano riuscite a ottenere la promozione per cui avevano lavorato per mesi. Edward, il fidanzato di Nina le aveva messo a disposizione il suo vecchio appartamento da studente universitario. Edward Marlon, rampollo di una famiglia di banchieri newyorkesi, da qualche anno faceva coppia fissa con Nina, anche lei figlia di una ricchissima famiglia statunitense. Una coppia perfetta, erano sempre d’accordo su tutto, al contrario di Bianca che aveva da poco concluso la sua relazione con Carl, il suo vecchio capo. La loro relazione era durata tre anni, malgrado i dieci anni di differenza dell’uomo che aveva a sua volta una figlia e una ex moglie molto invadente. Aveva trent’anni ed era stanca di incontrare sulla sua strada uomini sbagliati. Dopo cena si mise al computer, guardò le foto che aveva fatto a Central Park e pensò al violinista, ammise a se stessa di essere stata scortese, ma lo sguardo malinconico dell’uomo le aveva procurato una strana sensazione: le venne in mente una strada di Parigi, una donna vestita con un abito ottocentesco, al suo fianco un uomo in frac. New York era molto frenetica e, a differenza di San Francisco, era molto facile trovarsi imbottigliati nel traffico. La rivista per cui lavorava aveva organizzato un evento in un famoso locale alla moda al centro di Manhattan. Se c’era una cosa che detestava del suo lavoro erano proprio le serate mondane. Posteggiò la macchina all’interno del parcheggio del mouth chili red, (bocca rossa piccante). Il nome del locale era già tutto un programma, pensò, e raggiunse i colleghi. La sala era piena di artisti, molti non li aveva mai visti, riuniti all’interno della lussuosissima sala. Per la prima volta si sentì fuori luogo: la sua camicetta in raso e i pantaloni scuri non erano all’altezza dei costosissimi outfit indossati dai vari ospiti. Cercò con lo sguardo Nina, si avvicinò al bancone dove c’era un ricco rinfresco, assaggiò una tartina al salmone che poi fece scivolare con un sorso di champagne. Il cellulare prese a squillare, la voce squillante di Nina per poco non le ruppe un timpano: «Bianca ma dove diamine sei finita?». «Sono al mouth chili red». «Dove? Credo che tu abbia sbagliato festa tesoro». «Ma non è possibile, io ho seguito il percorso che mi ha dato il navigatore». «Ho capito. Se non riesci a venire troverò io una scusa con il capo». Bianca alzò gli occhi al cielo e tirò un lungo sospiro. Adesso doveva solo andare via da quella festa. Si voltò e inavvertitamente inciampò addosso a qualcuno che la sorresse per non farla cadere. Tirò su il viso e per poco non le venne un colpo nel riconoscere il violinista che due sere prima aveva incontrato a Central Park. «Ma tu sei…». «Il violinista di Central Park e animatore di questa splendida serata». Lo guardò attentamente: i pantaloni scuri erano di ottima manifattura, la camicia in pura seta, un abbigliamento molto costoso per un artista poco famoso. L’uomo le tese la mano, distogliendola dai suoi pensieri: «Mi chiamo José». «Bianca, il mio nome è Bianca Russò». «Dunque abbiamo qualcosa in comune: anche lei francese?». «No, americana. Mio padre è di origini francesi». José era magnetico, parlava lentamente e il suo accento francese lo rendeva ancora più sensuale. Dopo un’ora di conversazione l’uomo si allontanò per esibirsi sul piccolo palcoscenico del locale. Le note struggenti del violino iniziarono ad aleggiare all’interno del locale, i suoi occhi non perdevano di vista Bianca, come se temesse di non vederla più. Bianca chiuse gli occhi e in me che non si dica le venne in mente un giovane con la coda di cavallo, era seduto in un giardino pieno di rose e in mano teneva il suo violino. Non aveva dubbi: era José. I suoi pensieri vennero interrotti dallo stesso che, finita l’esibizione, le si avvicinò. «Tutto bene?». José si accorse subito del cambiamento repentino di Bianca. «Dove hai imparato quel pezzo?». «Ho scritto questo pezzo insieme a una persona molto importante. Lei… adorava ballare sotto la pioggia». Bianca lo guardò negli occhi: c’era qualcosa di familiare in quell’uomo, era come se lo conoscesse da tempo. José la intrigava: era carismatico ma nello stesso tempo le faceva paura, le sensazioni che le procurava erano molteplici. Tirò un profondo respiro e poi con autorevolezza si rivolse al violinista: «Devo andare, è stato un piacere conoscerti». Senza neanche attendere la risposta dell’uomo, Bianca lasciò il locale. Arrivata a casa si accasciò sul letto. Sprofondò in un sonno profondo, dove la sua mente iniziò a proiettare una serie di immagini come la pellicola di un film. Una ragazza giaceva sul letto, accanto a lei un medico che parlava con un’altra donna, sicuramente una parente stretta della giovane, le aveva appena diagnosticato una forte polmonite. Bianca era lì, come se fosse un fantasma, si avvicinò al letto e per poco non le venne un colpo: la ragazza sul letto era proprio lei. Si svegliò di soprassalto, madida di sudore, e guardò l’orologio: le lancette segnavano le quattro del mattino. Il suono di un violino proveniva dalla strada, le note erano quelle di un valzer. Si catapultò verso la finestra: la strada era completamente vuota, le saracinesche dei negozi abbassate, solo un gatto nero poltriva davanti al negozio adiacente. Che stupida, pensò, tutti questi cambiamenti mi stanno facendo diventare matta. L’odore di caffè invase la cucina, Bianca trovò Nina intenta a preparare la colazione. «Finalmente! Hai fatto le ore piccole stanotte? Non ti ho sentita arrivare» disse Nina sorridendo. «Non mi hai sentita perché sono tornata a casa prima di te». «Sai che ancora non riesco a capire come hai fatto a sbagliare locale? Va’ a vestirti, tu lavori troppo. Oggi andiamo a luna park, vedrai ci divertiremo un mondo». «Andiamo? Io, te e poi?». «Io, te, Edward, e…». «… e?». «Alfred». «Non vuoi proprio arrenderti, lo sai che detesto quel tipo». «Ma dai, è così carino e poi è un ottimo partito». Alfred era il cugino di Edward: uno scapolo d’oro, data la sua posizione sociale, biondo, occhi azzurri, ma completamente pieno sé. Il suo modo di ostentare il denaro mandava Bianca sui nervi. L’odore di pop corn si aggirava furtivo tra le giostre e i suoi estimatori. Adorava quel luogo. Da piccola aveva sempre desiderato fare la vita dei giostrai, era un mondo che la incantava. Alfred era appiccicato al suo braccio come una manetta. Ogni tanto dalla sua bocca partiva qualche battuta comprensibile al suo becero quoziente intellettivo. Bianca guardò di sottecchi Nina: lei è Edward erano una coppia affiatatissima, lui era come se baciasse la terra che lei calpestasse. Dopo un giro da brivido sulle montagne russe, si fermarono alla bancarella dei dolciumi. Una folata di vento le sciolse i capelli che aveva raccolto in una coda da cavallo, il fermaglio andò a finire tra le mani di una donna. «Credo che questo sia suo». Mentre le porgeva il fermaglio, la sconosciuta le accarezzò la mano. Gli abiti folcloristici non lasciavano alcun dubbio che fosse una zingara. Bianca tirò la mano, la donna la guardò negli occhi e le sorrise: «Non abbia paura, la sua è una mano molto interessante». La donna le riprese la mano, guardandola all’interno del palmo. Spalancò gli occhioni azzurri e poi guardò Alfred: «non è lui il tuo destino, ma colui che ti insegue nel corso dei secoli…». Alfred sembrò molto infastidito: « Tenga questi sono per lei, e per cortesia smetta di dire sciocchezze». Prese una banconota da 20 dollari e la porse alla donna che con un gesto di stizza rifiutò il denaro. «Non li voglio i suoi soldi, piuttosto impari a essere più gentile con le persone». Pronunciò alcune frasi nella sua lingua e poi andò via. Bianca era senza parole, le parole di quella donna l’avevano colpita come un fulmine a ciel sereno. Cercò di non pensarci e nel frattempo provò a continuare a godersi la mattinata. Mentre il resto del gruppo si sfrenava sulla torre volante, si scontrò con un uomo il quale le versò una bevanda sui pantaloni. «Stia attento! Ancora lei?». José sorrise: «Non pensavo di esserle così antipatico». Bianca avvampò: «Non ho detto questo. E… solo che non mi aspettavo di incontrarla di nuovo». «Io invece sono molto felice di vederla». Una donna dai lunghi capelli corvini interruppe la conversazione: si avvicinò con prepotenza a José lanciando un’occhiata di fuoco a Bianca: «Tesoro andiamo via, ho i piedi che mi fanno male». Uno strano senso di fastidio si impadronì di Bianca, la bellezza della sconosciuta era notevole, gli abiti che indossava erano di manifattura italiana, la borsa era una Vuitton. Quell’uomo era strano, forse un gigolò, d’altronde ne aveva tutta l’aria. Per essere un artista squattrinato se la passava abbastanza bene: al polso aveva un orologio antichissimo, i jeans firmati Cavalli e un cappotto di pura lana vergine. La serata era fredda e Nina aveva deciso di andare a dormire a casa di Edward, cosa che succedeva spesso da quando si erano trasferite a New York. La casa era tutta per sé, per cui decise di prepararsi una cioccolata calda, rovistò nella dispensa ma non trovò nulla, eppure ricordava benissimo di averla acquistata qualche giorno prima insieme ai biscotti, anch’essi spariti nel nulla. Sbuffò e guardò fuori dalla finestra l’insegna del supermercato, indossò una tuta e si diresse verso di esso. Guardò gli scaffali e le venne la tentazione di prendere una scatola di cereali cioccolatosi, allungò una mano e incontrò quella di un uomo, si voltò e incontrò lo sguardo di José che le sorrise: «Non staresti male con qualche chilo in più, secondo me saresti ancora più bella». Bianca incrociò le braccia: «Adesso siamo passati al tu? Che fai mi segui?». José si guardò intorno e poi le sussurrò con il suo sensuale accento francese: «Io abito qui, proprio sopra il supermercato. Stasera ho un certo languorino…ti andrebbe di farmi compagnia e prendere una cioccolata calda?». «Sono qui apposta per acquistarla». «Se ti va posso prepararla io a casa mia? Scusami, potrei anche offrirtela al bar di fronte. Bianca ci pensò un attimo, non aveva tanta voglia di stare fuori casa, José non le sembrava un malintenzionato: «Io abito al palazzo di fronte, tu acquisti quella scatolona di cereali e io la cioccolata e vieni a berla a casa mia e che sia ben chiaro: ho una pistola in casa, beviamo insieme la cioccolata e poi te ne torni a casa tua». José scoppiò a ridere: «Quasi quasi ho il terrore di venire da te. Va bene, accetto». Arrivati nell’appartamento, Bianca iniziò a preparare la cioccolata calda. José l’aiutò ad apparecchiare la tavola e poi iniziarono a chiacchierare. La passione per il violino lo accompagnava da quando era bambino, da qualche anno era dirigente di una multinazionale che aveva varie sedi in tutto il mondo. Da un paio d’anni si era trasferito a New York non solo per lavoro… Ogni sorso di quella bevanda calda la portava a incontrare lo sguardo di José che le provocava uno strano senso di eccitazione. I suoi occhi scuri erano caldi come la lava di un vulcano, le labbra rosa che baciavano la tazza, le immaginò sulla propria bocca. José guardò l’orologio: «Sarà meglio che vada, grazie per la cioccolata». Si alzò e si diresse verso la porta. Bianca lo accompagnò, aprì la soglia e i loro sguardi si incrociarono. In pochi secondi le labbra si unirono, Bianca moriva dalla voglia di toccarlo. José la avvolse tra le sue braccia, mentre lei lo attirò verso di sé chiudendo la porta. Lo veicolò verso la camera da letto e rapita da quella strana passione gli sbottonò la camicia che metteva in evidenza i pettorali scolpiti. Era bello da svenire, era caldo e profumato come il vento del Sahara. José la guardò nuda sul letto, il suo corpo era sempre lo stesso: la pelle bianca come il latte, i lunghi capelli dorati che le coprivano il seno rigoglioso, le gambe lunghe e setose. Iniziò a baciare ogni centimetro di pelle, fino a scendere sul monte di venere, ogni sussulto di quel corpo tanto amato lo ricompensavano dell’attesa. Bianca iniziò a mordere la pelle scura del petto, era incontrollabile la voglia di sentirlo suo, il corpo di José era come una calamita con il quale desiderava unirsi. Quando finalmente la sua mascolinità entrò nel suo piacere, i suoi sensi si persero con quelli di lui sprigionando un esplosione di piacere senza precedenti. I loro corpi danzavano allo stesso ritmo, la bocca di José era appoggiata sul suo orecchio: «Blanchett mon amour, da quanto tempo ti sto cercando, fa che questo sogno non finisca». Quel nome… un tempo lo aveva già sentito, quelle mani era impossibile dimenticarle, eppure José era un perfetto sconosciuto. L’indomani mattina si svegliò all’alba: l’odore caldo del caffè pizzicò le sue narici, scese giù dal letto e si avviò in cucina. Sul tavolo troneggiava un vassoio con latte, caffè e biscotti e un biglietto. Lo aprì: “Sono stato divinamente, ti aspetto stasera alle nove al pub dietro il supermercato”. Quel biglietto la consolò facendole capire che era tutto vero. Passò tutta la mattinata in ufficio a scrivere un pezzo che le era stato affidato, l’odore e i baci di José erano impressi prepotentemente nella sua testa. Nina si accorse del suo stato d’animo e mentre erano in pausa pranzo le domandò: «Stai bene?». «Sì.». A Nina quella risposta non convinse, continuò a farle domande fino a quando Bianca le raccontò tutto. Le raccontò di come José le avesse stravolto la vita e delle emozioni che in poco tempo le aveva procurato. Arrivate a casa Nina si offrì di aiutarla a vestirsi, prese dall’armadio uno dei suoi abitini super sexy e la obbligò a indossarlo. «Mi sento a disagio vestita così?». Bianca si guardò allo specchio: l’abito nero in licra le metteva in evidenza il seno prosperoso che, solitamente, cercava di nascondere sotto i maglioni morbidi. Le scarpe in argento mettevano in risalto le caviglie sottili e le donavano qualche centimetro in più. Tirò un lungo respiro e poi con passo deciso si avviò verso l’entrata del pub. Lo vide da lontano, era seduto su uno sgabello di fronte a un tavolino a forma di botte: i suoi occhi erano diversi, dal verde erano passati al grigio scuro, come il colore dei nuvoloni che avevano coperto il cielo di Manhattan. Un velo di barba lo rendeva ancora più sexy. Si voltò verso di Bianca e le sorrise mentre con il passo di una tigre le venne incontro. I suoi occhi le accarezzarono tutto il corpo, con le dita esperte le fece scivolare la zip del cappotto: «Sei bellissima. Non ti ho mai vista così sexy». Bianca abbozzò una risata: «Ma se ci conosciamo appena». Gli occhi di José tornarono di nuovo al loro colore originale: «Blanchett: amour de ma vie». Quel nome: fu colpita come un fulmine a ciel sereno, tutto iniziò a girarle vorticosamente, si appoggiò al petto di José per non cadere, che le prese il volto e la guardò negli occhi: «Stai bene?». Bianca scosse la testa: «In questo periodo sono molto stressata e di conseguenza sto mangiando anche poco, sediamoci, non vedo l’ora di mangiare un mega hamburger». José le raccontò dei suoi viaggi, del suo lavoro e di come spesso gli mancasse Parigi. Allo scoccare della mezzanotte José guardò l’orologio e chiese il conto: «Devo andare, ti va di venire da me ad ascoltare un po’ di musica?». La domanda di José la colse impreparata, gli occhi dell’uomo erano diventati malinconici. «Va bene, d’altronde abitiamo vicini, un’oretta e poi rientro a casa, domani ho una giornata piena di lavoro». L’appartamento di José era molto ordinato, i mobili erano gioielli di antiquariato, ogni pezzo ricordava la Francia. Un vecchio vinile inondò la stanza di note struggenti: erano seduti l’uno di fronte all’altra, tra le mani un bicchiere di whisky, i loro sguardi si cercavano, si sfidavano, come in una partita a scacchi, indecisi su chi fare la prima mossa. José si alzò: le accarezzò le mano e poi iniziò a farla volteggiare nella stanza. Bianca chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalle note di quella canzone. La lingua dell’uomo si intrufolò nel suo orecchio fino a scendere del suo collo dove con un piccolo morso la fece gemere di piacere. La prese in braccio e l’adagio sul letto, come un leone addosso alla sua preda le tolse i vestiti, le labbra di José si impadronirono di ogni centimetro del corpo di Bianca fino a portarla al culmine del piacere. Non ancora sazio si adagiò tra le gambe di Bianca completando la sua sete di passione. Le prime luci dell’alba picchiarono sui vetri delle finestre, la notte passata le aveva lasciato piacevoli dolori su tutto il corpo. Il letto era vuoto, solo una piccola busta con un biglietto: “Quando ti sveglierai io sarò sul primo volo per Londra, importante impegno di lavoro che mi porterà via qualche giorno. La colazione è sul tavolo, non tarderò a farmi vivo. Tuo… per sempre José”. Per diversi giorni Bianca dovette fare i conti con dolori su tutto il corpo, si sentiva debole e affaticata. Si avvicinò il fine settimana e Nina la convinse per l’ennesima volta da quando erano a New York, di pranzare a casa dei genitori di Edward. La villa era fuori città. Dopo aver pranzato accanto al camino, si riunirono in soggiorno. Lo zio di Edward era uno stimato medico, per cui Bianca approfittò e gli parlò del suo malessere. L’uomo la guardò e sgranò gli occhi quando notò una macchia a forma di violino sul collo: «Bianca! Mio Dio! Per caso hai conosciuto un musicista in questo periodo?». «Sí, ma questo che c’entra?». L’uomo prese il cellulare e le mostrò una foto: le gambe erano diventate molli, la terra iniziò a mancarle sotto i piedi. «Non è possibile, io quest’uomo lo conosco, l’ho toccato». Lo zio di Edward si tolse gli occhiali: «Josè Limar era un bravissimo musicista, si suicidò nelle campagne parigine in seguito alla morte della sua allieva e amante Blanchett. Il corpo dell’uomo non fu mai ritrovato, ma pare che nel corso degli anni tutte le donne che assomigliano alla sua amata lo incontrino: le stordisce, le seduce, fino a portarle a stare male. Cerca la sua amante, ma fino ad ora non è riuscito a trovarla. Queste donne a lungo andare crollano in uno stato depressivo, rimanendogli fedele per sempre e in attesa che lui si faccia vivo. Ti ha detto che partiva? Non sperare nel suo ritorno, tornerà solo quando avrà trovato Blanchett. Se tu malauguratamente fossi quella donna, lui ti porterà via per sempre». A quelle parole Bianca ebbe un mancamento. Si risvegliò poche ore dopo nella stanza di un ospedale, accanto al suo letto c’era Nina. «Tesoro ci hai fatto venire un colpo, i dottori hanno detto che devi stare un po’ a riposo, lo stress causa tanti problemi. Passarono i mesi e Bianca tornò di nuovo in forma. Una sera mentre tornava a casa, trovò José appoggiato davanti al portone. Lo guardò con aria di sfida: «So chi sei e so anche chi sono, ma i tempi sono cambiati, non verrò via con te». José si accese una sigaretta: «Non ho intenzione di ammazzarti, il tuo amico conosce poco la leggenda, se deciderai di venire con me cambierai solo identità, la gente ti crederà morta». Bianca ci pensò un attimo: «Mi dispiace José, ma questa è un’altra vita e io non intendo rinunciarci. Addio amore mio». José gli si avvicinò, le lacrime gli rigavano il viso, la baciò per l’ultima volta e poi sparì in una folata di vento. Racconto di AnnCentral Park era invasa da foglie color ruggine, il vento si muoveva lieve sugli alberi creando una danza univoca. Bianca spostò l’obiettivo verso una coppia di giovani scoiattoli e sorrise pensando aCentral Park era invasa da foglie color ruggine, il vento si muoveva lieve sugli alberi creando una danza univoca. Bianca spostò l’obiettivo verso una coppia di giovani scoiattoli e sorrise pensando anekke.