La sparizione DPoirot e io stavamo aspettando il nostro vecchio amico, l’ispettore Japp di Scotland Yard. Eravamo seduti davanti al tavolino da tè in attesa del suo arrivo. Poirot aveva appena finito di sistemare con cura tazze e piattini che la nostra padrona di casa usava buttare sul tavolo invece di disporli con cura. Aveva anche respirato pesantemente sopra la teiera di metallo lustrandola poi con un fazzoletto di seta. Il bricco stava per bollire e non lontano, in una ciotola di smalto, c’era una densa crema di cioccolato, che a Poirot piaceva molto più di quello che lui descriveva come “il vostro veleno inglese”. Si udì bussare con fermezza al piano di sotto e pochi minuti dopo entrò Japp con passo vivace. «Spero di non essere in ritardo» disse salutandoci. «A dire il vero sono stato a parlare con Miller, che si occupa del caso Davenheim.» Drizzai le orecchie. Negli ultimi tre giorni i giornali non avevano fatto altro che parlare della strana scomparsa del signor Davenheim, socio anziano della Davenheim e Salmon, famosa banca d’affari. Il sabato era uscito di casa e da allora non era più stato visto. Ero impaziente di estorcere a Japp qualche particolare interessante. «Pensavo» osservai «che al giorno d’oggi dovrebbe essere quasi impossibile “scomparire”.» Poirot spostò di un millimetro il vassoio con il pane imburrato e disse in tono brusco: «Siate preciso, amico mio, che cosa intendete per “scomparire”? A quale categoria di scomparsa vi riferite?». «Perché, le scomparse sono classificate ed etichettate?» chiesi ridendo. Anche Japp sorrise e Poirot ci guardò accigliato. «Certo! Le categorie sono tre: la prima, la più comune, è la scomparsa volontaria; la seconda è il caso, di cui si fa molto abuso, della “perdita di memoria”, che qualche volta, anche se raramente, è autentica; la terza è l’omicidio con l’eliminazione, più o meno riuscita, del cadavere. Vi riferite a tutte e tre quando dite che è quasi impossibile scomparire?» «Direi quasi di sì. Capiterà forse che qualcuno perda la memoria, ma certamente ci sarà sempre chi lo riconoscerà, soprattutto nel caso di un uomo noto come Davenheim. Inoltre i corpi non si possono far sparire nel nulla, presto o tardi saltano fuori nascosti in un luogo solitario o in un baule. Tutti i nodi vengono al pettine. Allo stesso modo l’impiegato disonesto, oppure colui che abbandona la famiglia, sono destinati a essere ritrovati in questi tempi in cui ormai l’uso del telefono e del telegrafo dilaga. Può essere estradato dai paesi stranieri; i porti e le stazioni ferroviarie sono sorvegliati e, quanto a nascondersi in questo paese, i lineamenti e l’aspetto di Davenheim saranno familiari a chiunque legga un quotidiano. Deve fare i conti con la civiltà.» «Mon ami,» disse Poirot «commettete un errore. Voi non prendete in considerazione il fatto che un uomo deciso a eliminare un altro uomo – o se stesso in senso figurato – potrebbe essere quella rara macchina che è l’uomo metodico. Potrebbe mettere in quell’impresa intelligenza, talento e un accurato studio dei particolari; in tal caso non vedo perché non dovrebbe riuscire a beffare la polizia.» «Ma non voi, suppongo,» chiese Japp di buonumore strizzandomi l’occhio «non potrebbe beffare voi, vero, monsieur Poirot?» Poirot si sforzò di apparire modesto con ben scarso successo. «Io? Anche, perché no? È vero che il mio approccio a questi problemi si basa sulla scienza esatta e la precisione matematica, cose ahimè fin troppo rare nella nuova generazione di investigatori!» Japp sorrise ancora più apertamente. «Non so» disse. «Miller, che si occupa di questo caso, è un uomo in gamba. Potete essere certo che non trascurerà un’impronta digitale, la cenere di sigaro e tantomeno una briciola di pane. I suoi occhi vedono tutto.» «Come i passeri di Londra, mon ami» ribatté Poirot. Tuttavia non mi rivolgerei a quegli uccellini marroni per risolvere il problema della scomparsa di Davenheim.» «Via, monsieur, non vorrete minimizzare il valore dei particolari nelle indagini?» «Niente affatto. Queste cose vanno bene a loro modo, il pericolo è che assumano un’indebita importanza. La maggior parte dei particolari è insignificante, soltanto uno o due sono vitali. È il cervello, le piccole cellule grigie,» si batté una mano sulla fronte «la cosa su cui bisogna basarsi. I sensi inducono in errore. Bisogna cercare la verità dall’interno, non dall’esterno.» «Non vorrete dire, monsieur Poirot, che vi apprestereste a risolvere un caso senza muovervi dalla vostra sedia, vero?» «È esattamente quello che voglio dire, purché abbia a disposizione i fatti. Io mi considero un consulente specializzato.» Japp si batté il ginocchio. «Che mi venga un colpo se non vi prenderò in parola. Scommetto una banconota da cinque che non siete in grado di mettere le mani – o magari di dirmi come io posso mettere le mani – sul signor Davenheim, vivo o morto, entro una settimana.» Poirot rifletté. «Eh bien, mon ami, accetto, le sport è la passione di voi inglesi. Adesso… i fatti.» «Sabato scorso, come sua abitudine, Davenheim ha preso il treno delle dodici e quaranta da Victoria Station diretto a Chingside, dove si trova la sua lussuosa tenuta di campagna, I Cedri. Dopo pranzo ha passeggiato nella sua proprietà dando varie istruzioni ai giardinieri. Tutti concordano nell’affermare che i suoi modi erano assolutamente normali e consueti. Dopo aver preso il tè ha cacciato la testa nel boudoir di sua moglie dicendole che sarebbe andato a fare due passi in paese per imbucare delle lettere. Ha aggiunto che aspettava un certo signor Lowen per questioni di affari. Se fosse arrivato prima del suo ritorno bisognava farlo passare in studio e chiedergli di aspettare. Poi è uscito dalla porta principale, ha percorso con calma il vialetto, ha varcato il cancello e… non è stato più visto. Da quel momento è completamente svanito.» «Interessante, molto interessante… un problemino affascinante» mormorò Poirot. «Continuate, mio buon amico.» «Circa un quarto d’ora dopo un uomo alto e bruno con folti baffi neri ha suonato il campanello e ha spiegato di avere un appuntamento con il signor Davenheim. Ha detto di chiamarsi Lowen ed è stato fatto accomodare nello studio, come aveva ordinato il banchiere. È passata quasi un’ora e il signor Davenheim non è tornato. Alla fine il signor Lowen ha suonato il campanello per chiamare il cameriere e ha spiegato di non poter attendere oltre perché doveva riprendere il treno per tornare in città. «La signora Davenheim si è scusata per l’assenza del marito, che appariva inspiegabile, visto che lui le aveva detto di aspettare un ospite. Il signor Lowen ha ripetuto di essere dispiaciuto e se n’è andato. «Bene, come tutti sanno, il signor Davenheim non è tornato. La domenica mattina di buon’ora la polizia è stata informata della scomparsa ma non è riuscita a risolvere nulla. Sembrava che il signor Davenheim si fosse letteralmente volatilizzato. Non era andato all’ufficio postale e nemmeno era stato visto attraversare il paese. Alla stazione erano sicuri che non fosse partito con un treno, e la sua macchina non aveva lasciato il garage. Se avesse noleggiato una macchina richiedendo che lo venisse a prendere in qualche punto isolato, è quasi sicuro che a quest’ora, considerata l’alta ricompensa offerta per qualunque notizia, l’autista si sarebbe fatto avanti per dire quello che sa. È vero che a otto chilometri di distanza, a Enfield, si svolgeva una gara ippica di scarso rilievo e che se lui fosse andato a piedi fino a quella stazione sarebbe potuto passare inosservato in mezzo alla folla. Ma subito dopo su tutti i giornali sono state pubblicate una sua foto e una descrizione accurata, e fino a questo momento nessuno è riuscito a dare qualche notizia. Naturalmente abbiamo ricevuto molte lettere da ogni parte dell’Inghilterra, ma finora tutti gli indizi sono stati deludenti. «Lunedì mattina è stata fatta un’ulteriore scoperta sensazionale. Dietro una portière nello studio del signor Davenheim c’è una cassaforte. Questa cassaforte era stata scassinata e svuotata. Le finestre erano chiuse saldamente dall’interno, il che fa scartare la possibilità di un ladro comune, a meno che, naturalmente, un complice nella casa non le abbia richiuse dopo. D’altro canto, dato che domenica la casa era stata in subbuglio, è probabile che il furto possa essere stato compiuto il giorno prima, sabato, e che nessuno se ne sia accorto fino a lunedì.» «Précisément» disse Poirot seccamente. «Bene, è stato arrestato ce pauvre monsieur Lowen?» Japp sorrise. «Non ancora, ma è sotto severa sorveglianza.» Poirot annuì. «Che cosa è stato portato via dalla cassaforte, lo sapete?» «Stiamo esaminando questo problema con l’altro socio della banca e con la signora Davenheim. Pare che contenesse una grossa cifra in titoli al portatore e una forte somma in banconote dato che era stata appena conclusa una importante transazione di affari. C’era anche un piccolo patrimonio in gioielli. Tutti i gioielli della signora Davenheim erano riposti nella cassaforte. Negli ultimi anni per suo marito era diventata una passione acquistarne e non passava mese che non le donasse qualche gemma rara e preziosa.» «Nel complesso un buon bottino» disse Poirot pensosamente. «E adesso, che cosa si sa di questo Lowen? Qualcuno sa di che genere di affari dovesse parlare con Davenheim quella sera?» «Be’, sembra che apparentemente i due non fossero in buoni rapporti. Lowen è uno speculatore, ma di piccolo calibro. Tuttavia è riuscito una o due volte a soffiare qualche buon affare a Davenheim, anche se pare che raramente si incontrassero o persino che non si siano mai incontrati. Dovevano parlare di certe azioni sudamericane e per questo Davenheim gli aveva dato appuntamento.» «Davenheim aveva interessi anche in Sud America?» «Credo di sì. La signora Davenheim ha accennato al fatto che lui aveva trascorso tutto lo scorso autunno a Buenos Aires.» «Qualche guaio nella vita familiare? Marito e moglie andavano d’accordo?» «Direi che la vita familiare era serena e tranquilla. La signora Davenheim è una donna gentile, non molto intelligente. Mi sembra proprio una nullità.» «Allora non dobbiamo cercare lì la soluzione del mistero. Lui aveva qualche nemico?» «Aveva moltissimi rivali nel campo della finanza, e indubbiamente molte persone sulle quali ha avuto la meglio in alcuni affari non hanno una simpatia particolare per lui. Ma è improbabile che qualcuna di queste persone lo abbia eliminato e, se anche così fosse, dov’è il cadavere?» «Esatto. Come sostiene Hastings, i cadaveri hanno l’abitudine di venire alla luce con una pertinacia fatale.» «Tra l’altro, uno dei giardinieri afferma di aver visto una persona aggirare la casa e dirigersi verso il roseto. La lunga portafinestra dello studio si apre sul roseto e spesso il signor Davenheim entrava e usciva da lì. Ma il giardiniere era piuttosto lontano, stava allestendo un riparo per i cetrioli e non è in grado di dire se si trattasse del suo padrone o no. Inoltre non è nemmeno in grado di stabilire un’ora precisa, ma dev’essere stato prima delle sei, dato che i giardinieri smettono di lavorare a quell’ora.» «E a che ora il signor Davenheim ha lasciato la casa?» «Intorno alle cinque e mezzo.» «Che cosa c’è dietro il roseto?» «Un lago.» «Con un capanno per le barche?» «Sì. Vi sono un paio di barchini. Suppongo che stiate pensando al suicidio, monsieur Poirot, vero? Be’, posso dirvi che domani Miller andrà lì per far dragare quel tratto di lago. Ecco che tipo di uomo è Miller!» Poirot fece un vago sorriso e si rivolse a me. «Hastings, per favore, passatemi quella copia del “Daily Megaphone”. Se ricordo bene, c’è una fotografia insolitamente chiara dell’uomo scomparso.» Mi alzai, trovai il giornale che mi era stato richiesto, e Poirot esaminò con attenzione i lineamenti del volto. «Uhm…!» mormorò. «Porta i capelli piuttosto lunghi e ondulati, ha grossi baffi, barbetta a punta e sopracciglia cespugliose. Gli occhi sono scuri?» «Sì.» «Capelli e barba tendenti al grigio?» L’ispettore annuì. «Bene, monsieur Poirot, che cosa mi dite? Chiaro come la luce del sole, no?» «Al contrario, molto oscuro.» L’uomo di Scotland Yard parve compiaciuto. «Il che mi dà grandi speranze di risolvere il caso» concluse Poirot in tono placido. «Come?» «Quando un caso è oscuro, a me sembra un buon segno. Se una cosa è chiara come la luce del giorno… eh bien, non fidatevi! Qualcuno ha fatto in modo di renderla tale.» Japp scosse la testa quasi con espressione di compatimento. «Bene, ciascuno la pensi come vuole. Ma non è male vedere la strada che si ha davanti con chiarezza.» «Io non vedo,» mormorò Poirot «chiudo gli occhi… e penso.» Japp sospirò. «Bene, avete un’intera settimana per pensare.» «E mi farete sapere tutti i nuovi sviluppi, per esempio il risultato delle fatiche dell’ispettore Miller, che lavora così duramente e ha occhi di lince?» «Certo, questo rientra nei patti.» Mentre lo accompagnavo alla porta Japp mi disse: «Mi sembra una vergogna, vero? È come derubare un bambino». Sorrisi e non potei fare a meno di dichiararmi d’accordo. Stavo ancora sorridendo quando rientrai nella stanza. «Eh bien!» disse subito Poirot. «Vi prendete gioco di papà Poirot, vero?» Agitò il dito verso di me. «Non vi fidate delle sue cellule grigie, vero? Oh, non confondetevi! Discutiamo di questo problemino che, per quanto incompleto, lo ammetto, indica però già alcuni punti interessanti.» «Il lago!» dissi io eloquentemente. «E ancora di più del lago, il capanno delle barche!» Guardai Poirot di sottecchi. Sorrideva in quel suo modo impenetrabile e mi resi conto che, almeno per il momento, sarebbe stato del tutto inutile continuare a interrogarlo. Non sapemmo nulla di Japp fino alla sera successiva, quando arrivò verso le nove. Dall’espressione del suo volto capii subito che non vedeva l’ora di comunicarci qualcosa. «Eh bien, amico mio» osservò Poirot. «Va tutto bene? Ma non ditemi che avete scoperto il cadavere del signor Davenheim perché non vi crederò.» «Non abbiamo scoperto il cadavere ma abbiamo trovato i suoi vestiti… gli abiti che indossava quel giorno. Che ne dite?» «Mancano altri indumenti da casa?» «No, il suo maggiordomo è sicurissimo. Il resto del guardaroba è intatto. Ma c’è dell’altro. Abbiamo arrestato Lowen. Una delle cameriere, che ha il compito di chiudere le finestre delle camere da letto, afferma di aver visto Lowen arrivare verso lo studio attraverso il roseto all’incirca alle sei e un quarto, cioè una decina di minuti prima che lui lasciasse la casa.» «Che cosa dice Lowen di questo?» «Per prima cosa ha negato di aver mai lasciato lo studio, ma la cameriera era sicura e allora lui ha finto di aver dimenticato di essere uscito dalla portafinestra per guardare un’insolita specie di rose. Una storia che non regge! E stanno venendo alla luce nuove prove contro di lui. Il signor Davenheim portava sempre un grosso anello d’oro con un diamante al mignolo della mano destra. Bene, questo anello è stato impegnato sabato sera a Londra da un tizio che si chiama Billy Kellett! È già noto alla polizia, è stato in carcere tre mesi l’autunno scorso per aver rubato l’orologio di un vecchio signore. Sembra che abbia tentato di impegnare l’anello in cinque posti diversi, che sia riuscito solo nell’ultimo, si sia preso un’enorme sbronza con il ricavo, abbia aggredito un agente di polizia e per questo sia stato arrestato. Sono andato con Miller in Bow Street e l’ho visto. Adesso è abbastanza sobrio e devo ammettere che lo abbiamo un po’ spaventato dicendogli che potrebbe essere accusato di omicidio. Ecco quello che lui racconta, ed è una storia piuttosto strana. «Sabato si è recato alle corse di Enfield, anche se si potrebbe dire che l’oggetto del suo interesse sono le spille da cravatta e non le scommesse. Comunque la giornata gli è andata male, è stato sfortunato. Procedeva lungo la strada per Chingside e si è seduto in un fosso per riposarsi prima di arrivare in paese. Qualche minuto dopo ha visto un uomo arrivare lungo la strada che portava al villaggio: “Un signore dalla pelle scura, con grandi baffi, un elegantone di città”, così lo ha descritto. «Kellett era seminascosto da un mucchio di pietre. Poco prima di arrivargli vicino l’uomo si è guardato attorno rapidamente e, vedendo che la strada sembrava deserta, ha preso un minuscolo oggetto dalla tasca e l’ha gettato oltre la siepe. Poi ha proseguito verso la stazione. Ora, l’oggetto che aveva scaraventato oltre la siepe era caduto producendo un lieve tintinnio, il che aveva suscitato la curiosità di quel relitto umano che stava nel fosso. Ha cominciato a guardarsi attorno e dopo una breve ricerca ha scoperto l’anello! Questa è la storia che racconta Kellett. È corretto affermare che Lowen la nega recisamente, ed è chiaro che non si può contare per nulla sulla parola di un uomo come Kellett perché c’è il legittimo dubbio che abbia incontrato Davenheim sulla strada, lo abbia derubato e poi lo abbia ucciso.» Poirot scosse la testa. «Molto improbabile, mon ami. Non aveva modo di liberarsi del cadavere. A quest’ora sarebbe stato ritrovato. Inoltre, il modo scoperto in cui ha impegnato l’anello fa ritenere assai improbabile che abbia ucciso per impadronirsene. In terzo luogo, un ladro raramente è anche un assassino. In quarto luogo, dato che è in prigione da sabato, sarebbe una coincidenza troppo strana che sia in grado di fornire una descrizione così accurata di Lowen.» Japp annuì. «Non dico che voi non abbiate ragione, tuttavia non si riuscirà a far prendere molto sul serio a una giuria la prova fornita da un ex carcerato. Quello che mi sembra strano è che Lowen non sia riuscito a trovare un modo migliore per liberarsi dell’anello.» Poirot scrollò le spalle. «Alla fine, se fosse stato rinvenuto nelle vicinanze, si sarebbe potuto credere che lo stesso Davenheim lo avesse gettato via.» «Ma perché rimuoverlo dal cadavere?» «Ci potrebbe essere un motivo per questo» rispose Japp. «Sapete che oltre il lago c’è un cancelletto che immette al colle, e a tre minuti di distanza a piedi si arriva… pensateci bene… a un forno per la calce.» «Santo cielo!» esclamai. «Volete dire che la calce potrebbe aver distrutto il cadavere ma non essere riuscita a intaccare il metallo dell’anello?» «Esattamente.» «Mi sembra» dissi «che questo spieghi tutto. Che orribile delitto!» Ci voltammo entrambi a guardare Poirot, che sembrava assorto, le sopracciglia aggrottate, come se fosse stato teso in un violento sforzo mentale. Avevo l’impressione che finalmente il suo acuto intelletto stesse per avere la meglio. Quali sarebbero state le sue prime parole? Non ci lasciò a lungo nel dubbio. Con un sospiro, si rilassò e, dopo essersi voltato verso Japp, chiese: «Avete idea, amico mio, se il signore e la signora Davenheim occupassero la stessa camera da letto?». La domanda sembrava così assurdamente inopportuna che per un attimo Japp e io lo fissammo in silenzio. Poi Japp scoppiò a ridere. «Santo cielo, monsieur Poirot, immaginavo che sareste venuto fuori con qualcosa di sbalorditivo. Quanto alla vostra domanda, non lo so.» «Potreste appurarlo?» chiese Poirot con una strana insistenza. «Oh, certo, se volete veramente saperlo.» «Merci, mon ami. Vi sarò obbligato se me lo farete sapere.» Japp lo guardò ancora per qualche minuto ma Poirot sembrava essersi dimenticato di noi. L’ispettore scosse tristemente la testa guardandomi e mormorò: «Povero amico! La guerra è stata troppo per lui!» e si ritirò senza far rumore dalla stanza. Dal momento che Poirot sembrava assorto in un sogno a occhi aperti, presi un foglio di carta e mi divertii a scarabocchiarvi qualche appunto. La voce del mio amico mi fece sussultare. Era uscito dalle sue fantasticherie e appariva sveglio e attento. «Que faites vous là, mon ami?» «Stavo buttando giù quelli che mi sembrano i punti più interessanti di questa faccenda.» «Finalmente siete diventato metodico!» commentò Poirot in tono di approvazione. Nascosi il mio compiacimento. «Volete che ve li legga?» «Senz’altro.» Mi schiarii la gola. «“Uno: tutte le prove stanno a indicare che Lowen è la persona che ha forzato la cassaforte. «“Due: ce l’aveva con Davenheim. «“Tre: ha mentito la prima volta in cui ha dichiarato di non avere mai lasciato lo studio. «“Quattro: se si accetta per vero quello che dice Billy Kellett, Lowen è senz’altro implicato.”» Mi interruppi. «Bene?» chiesi, perché mi pareva di avere messo il dito sui punti essenziali. Poirot mi guardò con compatimento e scosse la testa lentamente. «Mon pauvre ami, non siete proprio portato! Non sapete mai capire qual è il particolare importante e per di più il vostro modo di ragionare è sbagliato.» «Perché?» «Prendiamo i vostri quattro punti. «Uno: il signor Lowen non poteva sapere che avrebbe avuto la possibilità di aprire la cassaforte. È venuto per una discussione di affari, non poteva sapere prima che il signor Davenheim si sarebbe assentato per andare a imbucare una lettera e che, di conseguenza, lui sarebbe rimasto solo nello studio!» «Avrebbe potuto approfittare dell’occasione» suggerii. «E gli strumenti? I signori di città non si portano appresso gli strumenti da scasso nell’evenienza di una possibilità di questo genere! E, bien entendu, quella cassaforte non si apre con un temperino!» «Bene, e allora passiamo al numero due.» «Dite che Lowen ce l’aveva con Davenheim. Quello che intendete è che una o due volte ha avuto la meglio su di lui in qualche affare. In ogni caso non si porta rancore a un uomo che si è battuto, è più probabile che accada il contrario. Se rancore c’era, doveva stare dalla parte del signor Davenheim.» «Non potete negare che abbia mentito quando ha detto che non ha mai lasciato lo studio, vero?» «No, ma può darsi che fosse spaventato. Ricordate, erano appena stati scoperti nel lago i vestiti dell’uomo scomparso. Ovviamente, come al solito, avrebbe fatto meglio a dire la verità.» «E il quarto punto?» «Questo ve lo concedo. Se la storia che racconta Kellett è vera, Lowen è innegabilmente implicato; è questo che rende la cosa così interessante.» «Allora sono riuscito a capire un punto essenziale!» «Forse… ma avete completamente trascurato i due punti più importanti. Quelli che senz’altro racchiudono l’indizio per scoprire tutta la verità.» «E quali sono, per favore?» «Uno, la passione per i gioielli che si era impadronita del signor Davenheim in questi ultimi anni. Due, il suo viaggio a Buenos Aires nello scorso autunno.» «Poirot, state scherzando?» «Sono serissimo. Ah, maledizione, spero che Japp non si dimentichi della mia piccola commissione.» Ma l’ispettore, che era entrato nello spirito del gioco, se ne era ricordato così bene che verso le undici del giorno successivo Poirot ricevette un telegramma. Su sua richiesta lo aprii e lo lessi a voce alta: «“Marito e moglie dall’inverno scorso occupavano stanze separate”». «Ah!» esclamò Poirot. «E ora siamo a metà giugno! È tutto risolto.» Lo guardai con gli occhi spalancati. «Non avete del denaro depositato alla Banca Davenheim e Salmon, mon ami?» «No» risposi io, perplesso. «Perché?» «Perché vi consiglierei di ritirarlo… prima che sia troppo tardi.» «Perché, che cosa vi aspettate?» «Mi aspetto un grosso tracollo tra pochi giorni, forse anche prima. Il che mi fa venire in mente che dobbiamo ricambiare la cortesia di Japp con una dépêche. Una matita, per favore, e un modulo, voilà! “Vi consiglio ritirare eventuale denaro depositato presso banca in questione.” La cosa lo renderà perplesso, il buon Japp! I suoi occhi si spalancheranno… tanto! Non capirà assolutamente nulla… fino a domani… o a dopodomani!» Io continuavo a essere scettico ma il giorno dopo fui costretto a rendere il dovuto tributo alle notevoli capacità del mio amico. Su tutti i giornali c’erano titoli a caratteri cubitali che annunciavano il sensazionale fallimento della banca Davenheim. La scomparsa del famoso finanziere assumeva un aspetto affatto diverso alla luce della rivelazione delle condizioni finanziarie della banca. Non eravamo ancora a metà della prima colazione quando la porta si spalancò e Japp entrò. Nella mano sinistra aveva un giornale, nella destra il telegramma di Poirot, che lanciò con violenza sul tavolo davanti al mio amico. «Come avete fatto a saperlo, monsieur Poirot? Come diavolo ci siete riuscito?» Poirot gli fece un sorriso placido. «Ah, mon ami, dopo il vostro telegramma è stata una certezza! Fin dall’inizio, vedete, ho pensato che il furto fosse piuttosto importante. Gioielli, denaro in contanti, titoli al portatore – tutto così accuratamente predisposto… per chi? Bene, il buon monsieur Davenheim era una di quelle persone che pensano soltanto a se stesse. Sembrava quasi sicuro che avesse predisposto tutto… per se stesso! Poi quella passione che gli era nata in questi ultimi anni per l’acquisto di gioielli! Semplicissimo. Ha convertito il denaro di cui si è appropriato alla banca in gioielli, molto probabilmente sostituendoli con duplicati, e ha riposto in luogo sicuro, sotto un altro nome, un patrimonio considerevole che avrebbe potuto godere appieno a tempo debito, dopo aver fatto perdere le sue tracce. Portato a termine questo piano prende appuntamento con il signor Lowen (che in passato è stato abbastanza imprudente da attraversare una o due volte la strada del grand’uomo), forza la cassaforte, e dà ordine che l’ospite sia introdotto nello studio, poi se ne esce di casa per andare… dove?» Poirot si interruppe, tese la mano per prendere un altro uovo sodo e, aggrottando la fronte, mormorò: «È davvero insopportabile che ogni gallina deponga un uovo di misura diversa! Che simmetria ci può essere su un tavolo della prima colazione? Quantomeno al negozio dovrebbero vagliarne ogni dozzina a seconda della misura!». «Non preoccupatevi per le uova» disse spazientito Japp. «Lasciate che le depongano anche quadrate, se a loro garba. Diteci dove è andato il nostro amico quando ha lasciato I Cedri… voglio dire, se lo sapete!» «Eh bien, è andato nel suo nascondiglio. Ah, questo monsieur Davenheim! Ci sarà qualche malformazione nelle sue cellule grigie ma bisogna dire che sono di prima qualità.» «Sapete dove si nasconde?» «Certo, ha avuto un’idea molto ingegnosa.» «Per amor di Dio, allora ditecelo!» Poirot raccolse delicatamente tutti i frammenti di guscio dal piatto, li mise nel portauovo e vi posò sopra il guscio vuoto. Effettuata questa piccola operazione, sorrise alla vista del risultato ordinato, poi ci guardò sorridendo con affettuosità. «Via, amici, siete intelligenti. Ponetevi la domanda che io ho posto a me stesso: “Se io fossi quell’uomo dove mi nasconderei?”. Hastings, voi che cosa ne dite?» «Be’,» risposi io «penso che non scapperei, resterei a Londra, dove ferve la vita; mi sposterei in autobus e con la sotterranea e scommetto dieci contro uno che non sarei mai riconosciuto. Nella folla si è al sicuro.» Poirot si rivolse a Japp con espressione interrogativa. «Non sono d’accordo. Sparire subito è l’unica probabilità di farcela. Avrei avuto tutto il tempo possibile per preparare in anticipo le cose, avrei fatto attendere un panfilo con i motori accesi e me ne sarei partito per uno degli angoli più remoti del mondo prima che scoppiasse il pandemonio!» Guardammo entrambi Poirot: «E voi che ne dite, monsieur?». Per un attimo rimase silenzioso, poi uno stranissimo sorriso gli aleggiò sul volto. «Amici miei, se io volessi sfuggire alla polizia, sapete dove mi nasconderei? In un carcere.» «Come?» «Cercate monsieur Davenheim per metterlo in prigione, quindi non vi sognate di andare a vedere se non è già dentro.» «Che cosa intendete dire?» «Mi avete detto che madame Davenheim non è una donna molto intelligente. Tuttavia suppongo che se la portaste in Bow Street e la metteste a confronto con quel Billy Kellett lei lo riconoscerebbe! Malgrado si sia rasato la barba e i baffi e le sopracciglia cespugliose e si sia tagliato i capelli molto corti. Una donna riconosce quasi sempre il proprio marito, anche se il resto del mondo può lasciarsi trarre in inganno.» «Billy Kellett? Ma è noto alla polizia!» «Non vi ho detto che Davenheim è un uomo astuto? Ha preparato il suo alibi molto tempo prima. L’autunno scorso non è stato a Buenos Aires: stava creando il personaggio di Billy Kellett, si faceva tre mesi di carcere in modo che la polizia non avesse sospetti al momento giusto; ricordatevi che era in ballo un grosso patrimonio oltre che la sua libertà. Valeva la pena di fare le cose per bene. Solo che…» «Sì?» «Eh bien, dopo ha dovuto portare una barba finta e una parrucca, ha dovuto di nuovo truccarsi da se stesso, e dormire con una barba finta non è semplice, è troppo facile che si scopra il trucco! Non può correre il rischio di continuare a condividere la stanza con sua moglie. Voi avete appurato per conto mio che negli ultimi sei mesi, o forse da quando è tornato dal suo finto viaggio a Buenos Aires, lui e la signora Davenheim hanno occupato stanze separate. A questo punto ho avuto la certezza, tutto combaciava. Il giardiniere che ha immaginato di aver visto il suo padrone fare il giro della casa aveva ragione; infatti il nostro amico è andato al capanno delle barche e ha indossato i suoi abiti da vagabondo, che sicuramente erano stati nascosti affinché il suo maggiordomo non li vedesse. Ha buttato gli altri nel lago e si è accinto ad attuare il suo piano. Ha impegnato l’anello in modo da farsi notare, poi ha aggredito un poliziotto per farsi condurre al sicuro nel carcere di Bow Street dove nessuno si sarebbe sognato di cercarlo!» «È impossibile» mormorò Japp. «Chiedetelo a madame» disse il mio amico sorridendo. Il giorno successivo accanto al piatto di Poirot c’era una raccomandata. Lui aprì la busta dalla quale svolazzò fuori una banconota da cinque sterline. Il mio amico aggrottò le sopracciglia. «Ah, sacré, ma cosa me ne faccio? Ho molti rimorsi. Ce pauvre Japp. Ah, ho un’idea. Faremo una cenetta noi tre! Questo mi consola, è stato davvero troppo facile, me ne vergogno. Io, che non deruberei un bambino… Mille tonnerres! Mon ami, che cosa avete da ridere così?» Titolo originale: The Disappearance of Mr Davenheim In Poirot Investigates, 1924 (Hercule Poirot indaga) Traduzione di Lydia Lax
