La spiaggia era affollata, circondata da un manto di stelle, le luci del mio albergo illuminavano, appena, lo strato di sabbia bianchissima. La terrazza affacciava sopra il mar Egeo. Guardai la foto di Diego, una lacrima scese lentamente sul mio viso: era morto in un incidente sull’autostrada che lo avrebbe portato a Roma. Ricordo che ero arrabbiatissima con lui per il suo essere sempre in ritardo. Telefonai e il suo cellulare risultò spento, e questo mi fece arrabbiare ancora di più, fino a quando una pattuglia dei carabinieri mi chiamò per darmi la tragica notizia. Quella notte la mia vita si spense, amici, carriera, nulla aveva più un senso. L’anno successivo ero sopra un aereo diretta ad Atene in compagnia di Sonia, la mia collega. Presi una sigaretta dalla borsetta e iniziai a ispirarla: «Potrei chiederle di spegnerla? Sa sono allergico al fumo» due grandi occhi azzurri come l’oceano, incorniciati da riccioli d’oro sopra una testa perfetta, mi guardavano con delicatezza. Imbarazzata mi scusai e aggiunsi: «Credo che all’aperto si possa fumare» l’uomo mi sorrise, mettendo in evidenza una splendida fossetta sotto il mento. «Ha ragione, ma non mi va di rientrare nella mia stanza, qui si sta così bene, oltretutto questa terrazza gode di un’ottima vista». La camicia bianca di lino nascondeva la pelle bronzata da dove si intravedeva la muscolatura perfetta delle braccia. «Mi chiamo Febo, e lei come si chiama?»
«Mara».
«Non ho ancora cenato, le andrebbe di farmi compagnia?» guardai l’orologio e mi accorsi, che in effetti, era ora di cena, per cui accettai. Il cameriere ci servì del buon vino locale, accompagnato dalle specialità del posto. Febo si rivelò una compagnia molto piacevole. Chiacchierammo fino a mezzanotte: mi raccontò della sua attività di psicologo che svolgeva a Creta, e di come alcuni dei suoi clienti fossero capaci di affrontare le difficoltà della vita. Era magnetico, mi stupii della sua pacatezza, mi sentii subito a mio agio, tanto da raccontargli la profonda perdita che avevo affrontato e come il mio lavoro da architetto mi avesse dato la forza di andare avanti. Tra due chiacchiere e del buon vino, mi accorsi che il tempo era volato, erano le tre di notte passate, ci guardammo a lungo negli occhi prima di salutarci. «Domani dopo il tramonto sarò su questa terrazza, mi piacerebbe vederti Mara»
«Dopo il tramonto sarò qui».
Il giorno dopo mentre ci godevamo il caldo sole di agosto, raccontai di quell’incontro a Sonia. «Wow! Quindi lo rivedrai stasera? Strano che non ti abbia chiesto il numero di telefono»
«Forse se ne sarà dimenticato».
Alle otto era sopra la terrazza, Febo era di spalla con il volto verso l’orizzonte, la sua pelle bronzata brillava sotto la camicia di lino celeste. Era bello, non avevo mai visto un uomo così perfetto se non al cinema o su qualche rivista patinata. Si voltò e mi sorrise, mostrando una dentatura bianchissima, per un momento mi sentii quasi in colpa per le sensazioni che questo sconosciuto mi stava provocando. «Sei bellissima». Quel complimento inaspettato mi fece sobbalzare il cuore, abbassai lo sguardo imbarazzata. Cenammo come due vecchi amici che si rincontrano dopo anni. A fine serata decidemmo di fare una passeggiata nel centro di Atene. C’era una fiera con tante bancarelle, ci fermammo davanti a un artigiano che vendeva bracciali di ogni tipo, una coppia di bracciali raffigurava un cuore con al centro la luna, lo acquistammo e lo indossammo, felici come due bambini che ricevono un giocattolo nuovo. Febo si rivelò un ottimo Cicerone, conosceva la Grecia meglio di chiunque altro. Le lancette dell’orologio correvano, mentre io avrei dato qualsiasi cosa pur di fermarle. Il cielo iniziò a coprirsi di nuvoloni, Febo mi prese per mano, corremmo fino a quando ci ritrovammo in una viuzza. Ci fermammo davanti a un portone azzurro, incastonato in un lussuoso palazzo con le colonne bianche. «Mi piacerebbe farti entrare, questa è la casa di famiglia, anche se io di solito preferisco alloggiare nel resort». Lo guardai e accettai il suo invito. L’appartamento era moderno e accogliente, una sfilza di libri sulle mensole del soggiorno sottolineava che Febo fosse un gran lettore. Anch’io adoravo i libri, per cui mi avvicinai subito alla libreria: tutti i volumi trattavano la mitologia greca. «Adoro la mitologia, è il fulcro della storia del mio paese» mi voltai, era alle mie spalle, come una calamita mi ritrovai tra le sue braccia. Mi baciò fino a quando diventammo cielo e terra, fino a quando i miei occhi si persero nell’azzurro dei suoi. Mi ritrovai immersa in un vortice di passione, per la prima volta il mio spirito si sentiva libero, libero di trascinarsi in quello che la gente più comunemente chiama: un colpo di fulmine. L’indomani mattina fui svegliata dal canto degli uccellini, era da tanto tempo che non dormivo beatamente. Febo arrivò nella stanza con un vassoio pieno di brioche e una tazza di caffè fumante. «Stasera vorrei portarti a fare un giro in barca, il proprietario del resort è un mio amico, mi presterà il suo yacht. Dopo il tramonto ti aspetterò sopra la terrazza». Tornata al resort, mi sentii un’altra persona: non ero più la tristissima Mara arrivata due giorni prima, ero Mara che ancora riusciva ad emozionarsi. Mi guardai allo specchio: avevo trentacinque anni eppure mi sentivo emozionata come una sedicenne alle prese con la prima cotta. Aprii la busta e ammirai l’abito stile impero che Febo mi aveva regalato, era di ottima manifattura, la seta era purissima, mia madre per anni aveva lavorato come sarta in un atelier di uno stilista famoso, per cui era solita portare il suo lavoro anche a casa. Mi aveva raccomandato di indossarlo per il nostro incontro serale. Ero rimasta lusingata da quel gesto e anche un po’ stranita: perché un uomo che conoscevo a malapena mi avesse donato un abito così costoso, per giunta, aveva anche azzeccato la taglia. La sera ci ritrovammo sulla solita terrazza, puntuale dopo il tramonto, mi venne a prendere con Diacono, il marinaio delle imbarcazioni del resort, lo conoscevo bene, visto che qualche giorno prima aveva accompagnato me e Sonia a fare alcune escursioni. Salita sulla barca ammirai il panorama che quella terra ricca di fascino offriva, con Febo, che mi teneva le braccia sulla vita. Attraversammo un velo di nebbia, per poi trovarci davanti a un isolotto pieno di luci. «Mia sorella ha una villa su quest’isola, stasera festeggia insieme ai suoi amici il suo compleanno». Diventai subito rossa: «Non vorrei essere di troppo in una festa di famiglia». Febo mi sorrise stringendomi ancora di più: «Non preoccuparti, ci saranno molti nostri amici, e comunque, mi farebbe davvero piacere fartela conoscere». Ormeggiammo sul isola, una donna vestita con abiti tradizionali ci venne incontro: «Bene arrivato signore. Tanti auguri di buon compleanno». Guardai Febo con gli occhi sbarrati: «Scusa, non mi avevi detto che era il compleanno di tua sorella?»
«Ho solo dimenticato di dirti che siamo gemelli ». Mi prese per mano e insieme scivolammo al centro dell’isola, dove una folla di gente vestita con abiti tradizionali locali, si divertiva a ballare. Non mi ero mai divertita tanto in vita mia. Una gigantesca luna piena illuminava una serie di case lattiginose, arricchite da colonne con capitelli fregiati. Allo scoccare della mezzanotte apparve Diana, la sorella di Febo: una donna bellissima dai capelli corvini, che ci prese per mano e ci portò al centro della folla, dove nel frattempo era stato allestito uno spazio con bottiglie di champagne, torte e pasticceria varie. Dopo aver ringraziato tutti i presenti, i fuochi d’artificio impazzarono sul cielo stellato, creando bellissime figure dello zodiaco, i miei occhi non avevano mai visto una festa più bella. Gli amici di Febo si divertivano molto, ognuno di loro emanava spensieratezza. Alle cinque del mattino salutammo tutti e ci dirigemmo verso la spiaggia: «Ora dobbiamo andare, sono stato benissimo con te, anche troppo. Non mi succedeva una cosa simile da anni». La voce di Febo conteneva un velo di tristezza. Tirò fuori dalla tasca una pietra di heliolite e me la posò sul palmo della mano: «Questo è un portafortuna, sono anni che lo custodisco. Ma questa volta preferisco che sia tu a conservarlo . Se dovesse tornarmi indietro, sarà perché hai deciso di stare con me». I suoi occhi adesso erano umidi lo guardai per quanto mi fu possibile, da quando lo avevo incontrato, non ero mai riuscita a guardarlo a lungo, la sua bellezza era come se mi accecasse. «Non è un addio vero? Non so se sono pronta a vivere una storia a distanza, sono vedova da solo un anno».
Per tutto il tragitto restammo in silenzio, fino a quando Febo mi accompagnò nella mia stanza. Mi baciò, non fu un semplice bacio, fu un diluvio di emozioni che mi coprirono come la lava di un vulcano.
Alle nove la sveglia mi avvisò che era ora di alzarmi: alle dieci in punto io e Sonia, insieme ad altri turisti avremmo dovuto visitare il museo dell’olimpo: questo museo era stato inaugurato qualche anno prima da una scultrice ateniese. Il pullman del resort si fermò vicino al centro. Percorremmo il centro a piedi, proprio come quella notte in cui Febo era stato mio. La testa iniziò a girarmi, la guida si fermò di fronte a un palazzo: «Benvenuti al museo dell’olimpo». Non è possibile, pensai, mi trovavo di fronte all’appartamento di Febo. Quando entrai vi ritrovai tutt’altro che un appartamento: statue che raffiguravano le divinità e le storie tramandate dai grandi scrittori del sesto secolo. Impallidii nel constatare che ognuna di quelle statue aveva il volto delle donne e gli uomini che avevo incontrato la sera prima. Giunsi davanti a una delle statue più imponenti che rappresentava il Dio del sole e con mio grande stupore mi accorsi che al polso aveva lo stesso braccialetto che io e Febo avevamo acquistato al mercatino. Guardai la statua e non ebbi alcun dubbio: Apollo mi aveva tirato un brutto scherzo. «Mara ti senti bene? » «Sì, scusami Sonia ho dormito così poco che adesso mi sento un tantino stanca». Sonia andò a fotografare una statua di Zeus, in quel momento si avvicinò una donna: «Ho visto come guardava quella statua: sa io qui ci torno spesso da quando hanno aperto questo posto, e sa perché? Anni fa conobbi un uomo si chiamava Bacco, non era un uomo qualunque… E per questo ebbi paura di seguirlo. Ora non faccio altro che pensare come sarebbe stata la mia vita con lui, la prego non faccia il mio stesso errore». Corsi da Sonia: «Devo andare, ho un appuntamento importante». Corsi verso la fermata dei taxi, il cuore mi scalpitava nel petto. Arrivata al resort chiesi subito di Diacono, il marinaio. Fortunatamente lo trovai sulla spiaggia, mentre faceva scendere da un motoscafo una coppia di turisti. «Buongiorno signora Scalfari» «Diacono non c’è tempo per le formalità, devi portarmi subito su quell’isola» «Di quale isola sta parlando?» «Ieri sera hai portato me e Febo su un’isola immersa tra le nebbie» «Non conosco nessun Febo. Si sta sbagliando, ieri non ero in servizio». Sospirai presa dall’amarezza, ebbi subito un’illuminazione: aprii la borsa e presi la pietra. «Portami da lui, ti prego!». L’uomo mi guardò dritto negli occhi, il suo sguardo era cambiato: «Una volta arrivata sull’olimpo non potrà più tornare indietro. Al resort dovrò raccontare di un’incidente: tutti la crederanno morta. Per poter tornare sulla terra dovrà assumere una nuova identità, non potrà vedere più ne amici e parenti, altrimenti metterebbe in serio pericolo l’intera esistenza degli DEI. È disposta a tutto questo?». Un brivido mi corse lungo la schiena, al mondo a parte pochi amici non avevo più nessuno, se non un fratello che viveva in Germania. «Portami da lui!». Guardai lentamente la costa sparire, le gambe mi tremavano, non sapevo cosa la mia nuova vita mi riservasse, tutto questo iniziò a portarmi ansia. All’improvviso in mezzo alla nebbia bianca vidi l’isola, scorsi immediatamente la sua figura: era vestito di bianco, con la camicia bianca di lino aperta, mi stava aspettando. Tutti i miei dubbi di colpo sparirono. Scesi subito dall’imbarcazione e corsi verso di lui che mi aspettava con le braccia spalancate e un sorriso malizioso. «Ti stavo aspettando mia regina». Le nostre labbra si unirono in un lungo bacio che ci avrebbe unito per l’eternità.
