Una fanciulla, di nome Aracne, viveva nella città di Ipepe, nella Lidia. Era nota come abile tessitrice e spesso le ninfe lasciavano le loro acque o i boschi per vedere i suoi capolavori finiti. Era uno spettacolo anche assistere mentre sfilacciava o ricamava. Si capiva dalla grazia e dall’agilita’ che la sua maestria provenisse da Minerva. Ma lei sosteneva di no e un giorno, presa dalla superbia, sfidò la dea in una gara sostenendo che non poteva competere con lei. Minerva, travestita da anziana signora, si presentò ad Aracne consigliandole di rinunciare alla sfida e di accontentarsi di essere la più brava tessitrice tra i mortali. La fanciulla le lanciò un’occhiata e le rispose sgarbatamente. La vecchia a quel punto si palesò come la dea Minerva. Tutte le ninfe e le donne della Lidia si prostrarono davanti alla dea ma Aracne non si spaventò. La gara ebbe inizio: Minerva scelse come tema la sua vittoria su Nettuno, mentre Aracne raffigurò gli amori degli dei e i loro inganni. Il lavoro della giovane era perfetto ma anche ironico. Minerva si adiro’, distrusse la tela e colpì la fanciulla con una spola. Aracne tentò di impiccarsi ma la dea, presa da compassione, la sorresse e le disse: Vivi, pure, ma penzola, malvagia”. Infine la trasformò in un ragno e, per la sua arroganza, Aracne fu costretta a tessere dalla bocca per tutta la vita. Ovidio, con questo mito, condanna la superbia e pone attenzione sui limiti umani che nulla possono contro le divinità.
