
Il segreto dell’appartamento 208
Ero appena arrivato a Londra e il mio parabrezza aveva già iniziato a riempirsi di pioggia. L’appartamento era situato a Kensington, uno dei quartieri più chic della città. Per alcune settimane avrei dovuto usufruire del suddetto in veste di legale di un importante membro del Parlamento europeo. Farah, una donna di origine irachena sulla sessantina d’anni, si sarebbe occupata della casa fino alla fine del mio soggiorno. L’ambiente era caldo e accogliente a differenza del clima che mi si era presentato. Il pavimento era in pregiato parquet, con alcuni tappeti persiani che padroneggiavano nel soggiorno e nello studio, dove c’era una libreria imponente. Farah si offrì di prepararmi la cena prima che finisse il turno, il mio istinto fu quello di accettare, ma poi decisi di cenare in un ristorante che avevo scorto sulla strada. Presi l’ombrello e mi avviai verso il ristorante, mentre la pioggia picchiettava sui vetri delle macchine, una donna armata di un ombrello color ruggine mi venne completamente addosso.
«Mi scusi, sono scivolata» la guardai e per poco non rimasi folgorato da tanta bellezza: una tempesta di riccioli ramati incorniciavano due occhi smeraldo sulla pelle diafana. Tossii e tentai di mettermi a posto la giacca: «Non fa niente. Mi chiamo James Holden» i suoi occhioni penetrarono nei miei, come se volessero studiarmi. «Mi chiamo Lilli»
«Sto andando a cenare in quel ristorantino laggiù, le andrebbe di farmi compagnia, sempre che non abbia un marito geloso e violento».
La donna scoppiò a ridere, mettendo in risalto una dentatura bianchissima: «Sono abbastanza affamata, per cui accetto volentieri. Fortunatamente non ho marito e di conseguenza nemmeno violento». Lilli non era solo bella: era intelligente, colta, elegante, aveva tutto ciò che serve a catturare l’attenzione di un uomo. All’interno del ristorante non c’era uomo o donna che non la notasse. Dopo cena mi offrii di accompagnarla a casa, con mia grande sorpresa abitava due palazzi dopo il mio.
«Sono stata benissimo, ti andrebbe di salire?». Allentai la cravatta, una donna bellissima che mi chiedeva di salire a casa sua, doveva essere la mia giornata fortunata. Mezz’ora dopo ero con le labbra incollate su quelle di Lilli, in uno splendido letto, avvolto in un piumone rosso fuoco. Fu così che iniziai la mia conoscenza con la donna più enigmatica che avessi mai conosciuto. Difficilmente riuscivamo a vederci la mattina, un po’ per i miei impegni lavorativi e un po’ perché al sorgere del sole lei spariva. La settimana prima di partire, mi convinsi che avrei voluto continuare a frequentarla, avevo preso una bella cotta, mi sentivo un adolescente alle prime armi. Una notte tempestata di fulmini e tuoni notai qualcosa di strano: i suoi canini erano leggermente affilati. Il temporale continuò fino alla mattina, ragione per cui Lilli non andò via. Alle otto in punto arrivò Farah, lei aveva le chiavi di casa, il suo viso diventò madido e pallido quando si trovò davanti Lilli che faceva colazione in sala da pranzo. Passammo l’intero pomeriggio in giro per Londra, fino a quando mi fermai davanti alla cattedrale di Westminster. «Entriamo! È da tanto tempo che desidero visitarla, ma le rare volte in cui sono a Londra non riesco ». Il volto di Lilli si scurì, un velo di tristezza attraversò il suo viso: «James entra tu, io non voglio entrare, là sono cattivi con me!». Le presi il volto tra le mani e la baciai sulla sue bellissime labbra carnose: «Mi dispiace, chi è stato cattivo con te? Tesoro, se a te non và, per me va bene, ci verrò un’altra volta», finalmente tornò a sorridere. La sera mangiammo nel ristorante dove l’avevo conosciuta. All’uscita dal locale, un uomo era davanti a un portone che picchiava una giovane donna: «Maledetta puttana, ora ti faccio vedere io». La donna si accovacciò per terra, mentre questo la riempiva di calci e pugni. Preso dalla rabbia mi avvicinai a quest’ultimo e gli mollai un destro sul naso facendolo sanguinare. «E tu chi sei? È la mia serva, fatti gli affari tuoi». A quelle parole incominciai a picchiarlo pesantemente, fino a quando lo costrinsi a chiedere scusa a quella povera innocente. La donna mi ringraziò, poi si avvicinò a Lilli che dalla borsetta prese dei fazzolettini per medicarla: «Signora, non è possibile!». La donna le baciò le mani, Lilli era in evidente stato d’imbarazzo, chiamammo un taxi e la facemmo riportare a casa. Appena entrati nel mio appartamento le domandai dello strano comportamento della donna, ma lei con aria non curante mi rispose che quest’ultima l’aveva confusa con qualcun’altra. Passammo tutta la notte nel mio letto, tra baci e carezze, mi addormentai come un bambino tra le sue braccia. Mi svegliai nel cuore della notte, la trovai china sul mio petto con il volto umido, appena si accorse della mia presenza, in modo surreale, caddi in un sonno profondo. L’indomani mattina mi svegliai con un cerchio alla testa, entrai in sala da pranzo e trovai Farah con un enorme rosario tra le mani: «Ma che stai facendo?». La donna mormorava strane preghiere nella sua lingua, poi finalmente mi rispose: «Signore, deve correre subito in chiesa a farsi benedire! Subito!» .
Dalla borsa prese una boccetta a forma di santo e mi buttò il suo contenuto addosso. «Ma vuoi smetterla! Cos’è questa storia e soprattutto Lilli dov’è?». Farah mi prese per mano e mi condusse davanti all’appartamento che credevo fosse di Lilli. I pompieri stavano spegnendo un incendio, le mie gambe iniziarono a tremare, pregai con tutto me stesso che non le fosse accaduto nulla. Chiesi subito informazioni a un giovane pompiere: «Appartamento? Ma no, questa è la casa della contessa Duprè, lei non ci vive più da anni, delle giovani incoscienti la utilizzano per fare cose strane, non so dirle… A qualcuna di loro è sfuggita la situazione e così hanno creato un incendio».
«Chi sono queste giovani? È sicuro che la contessa non sia più qui?»

«Sicurissimo, ha cento anni. Pare viva da anni a Parigi, nessuno la vede più da secoli. Le giovani mi pare si facciano chiamare… Le figlie di Lilith». Scossi la testa e tornai nel mio appartamento insieme a Farah. Per tutta la settimana pensai a Lilith, avevo condotto varie ricerche e tutte mi davano conferma che la donna che era stata tra le mie braccia, fosse il demone mitologico. La sera prima di partire mi affacciai alla finestra, un gufo bianco si affacciò sul davanzale del mio balcone, tra le zampe aveva una busta. Come un automa la presi e ne estrassi il contenuto: “Quando ti ho incontrato ho pensato subito a una bella avventura, un’avventura che avrei potuto concludere uccidendoti. Un uomo ricco e potente che non disdegna le belle donne usandole come oggetto del piacere, ma questo non sei tu. Mi hai dimostrato, salvando quella donna, il rispetto che hai per coloro che donano la vita. PS a quel bastardo ci ho pensato anch’io: è morto mentre guidava la sua potente Lamborghini. Non è un addio, ma un arrivederci, continua a essere quello che sei”. Invece di tornare a New York, la mia efficientissima segreteria riuscì a prenotarmi un volo per Parigi, avevo una gran voglia di conoscere la contessa Duprè.